J.R.R.Tolkien era antisettario: ecco le prove

J.R.R.Tolkien era antisettario: ecco le prove

“Il bene e il male sono rimasti immutati da sempre, e il loro significato è il medesimo per gli Elfi, per i Nani e per gli Uomini. Tocca ad ognuno di noi discernerli, tanto nel Bosco d’Oro quanto nella propria dimora”

[Da ‘La Realtà in Trasparenza’ a cura di Humprey Carpenter e il figlio Christofer Tolkien]

La Trilogia de “Il Signore degli Anelli” pubblicata da John Ronald Reuel Tolkien a partire dal 1954 ha generato uno dei fenomeni culturali più eterogenei del ventesimo secolo. Nei decenni seguenti alla pubblicazione dei tre romanzi fantasy tolkieniani decine di autorevolissimi esperti e studiosi di storia della letteratura, in particolare di quella  inglese, han pubblicato numerosi saggi, tra le centinaia pubblicati sull’argomento, in cui illustravano la propria chiave di lettura, interpretazione e visione del micro cosmo, creatura di Tolkien, contenuto nei tre romanzi. Le chiavi di lettura proposte, nella maggior parte dei casi, esulano e ignorano completamente, sia ciò che l’Autore ha dichiarato e chiarito circa la possibile chiave di lettura per un’ipotetica interpretazione, sia ciò che l’Autore ha lasciato scritto e tramandato ai posteri di se stesso, dei suoi valori, della sua fede, dell’amore per la sua famiglia e per la cultura; inoltre, numerose analisi trascurano ingenuamente o mistificano volutamente il contenuto degli importanti scambi epistolari tra l’Autore e suoi conoscenti che, a lunghi tratti, seppur inconsciamente, assumono caratteri autobiografici.

Ora, citando in primis ciò che l’Autore ha lasciato scritto in moltissime lettere (successivamente pubblicate, nel 1981, in ‘La Realtà in Trasparenza’ a cura di Humprey Carpenter e il figlio Christofer Tolkien) postume alla pubblicazione della Trilogia circa la sua possibile interpretazione,  tenteremo di capire come e da che angolazione osservare il micro-cosmo tolkeniano per declinare e comprendere il significato del suo incredibile ed inestimabile messaggio. Parafrasando e citando da una lettera di Tolkien, egli ha chiaramente definito come gli elementi che compongono Il Signore degli Anelli sono: “analogie, non simboli o allegorie, i personaggi e il contesto son ciò che sono, non rappresentano solo astrattamente, sono la realtà in trasparenza” – Le analogie, quindi, sono  ideal tipi (esempi idealizzati, idealizzazioni) utilizzati dall’autore per rappresentare, mostrare, sintetizzare e racchiudere segmenti della vita reale e gli elementi che la compongono; quindi, serve identificare e comprendere l’idea-lizzazione che l’autore ha racchiuso e sviluppato nelle analogie se si desidera declinarle e analizzarle, per cogliere, appunto, La Realtà in Trasparenza. Penso sia doveroso soffermarsi brevemente sul concetto di realtà in trasparenza citando il pensiero di Lewis: “nessun altro mondo è così palesemente oggettivo» come quello creato da Tolkien: gli uomini sono uomini in modo più vero, gli amici più amici di quanto spesso sperimentiamo ogni giorno. Insomma: la realtà in trasparenza.” Sempre citando alcuni passi delle lettere lasciate da Tolkien arriviamo ad uno dei passaggi fondamentali per la profonda comprensione delle analogie Tolkieniane. Così scrisse rispondendo al suo padre spirituale gesuita Robert Murray:  «Mio caro Rob, mi ha specialmente rallegrato quello che tu hai detto […] e hai rivelato persino a me stesso alcune cose del mio lavoro. Penso di sapere esattamente che cosa intendi con dottrina della Grazia; e naturalmente con il tuo riferimento a Nostra Signora, su cui si basa tutta la mia piccola percezione di bellezza sia come maestà sia come semplicità. Il Signore degli anelli è fondamentalmente un’opera religiosa e cattolica; all’inizio non ne ero consapevole, lo sono diventato durante la correzione. […] Perché a dir la verità, io consciamente ho programmato molto poco; e dovrei essere sommamente grato per essere stato allevato (da quando avevo otto anni) in una fede che mi ha nutrito e mi ha insegnato tutto quel poco che so». Seguono dei passi tratti dalle lettere indirizzate al figlio Christopher, impegnato al fronte, l’8 marzo 1944,  in cui traspare vivida e luminosa la vera natura dell’autore e la natura del suo rapporto con gli amatissimi figli, i veri destinatari delle incredibili opere tolkieniane:«io ti propongo l’unica grande cosa da amare sulla terra: i Santi Sacramenti. Qui tu troverai avventura, gloria, onore, fedeltà e la vera strada per tutto il tuo amore su questa terra, e più di questo: la morte. Per il divino paradosso che solo il presagio della morte, che fa terminare la vita e pretende da tutti la resa, può conservare e donare realtà ed eterna durata alle relazioni su questa terra che tu cerchi (amore, fedeltà, gioia), e che ogni uomo nel suo cuore desidera”[…] “Ma c’è ancora qualche speranza che le cose per noi possano migliorare, anche sul piano temporale, per grazia di Dio. […] E tu sei stato per me un dono così speciale, in un periodo di disperazione e di sofferenza mentale, e il tuo amore, che si è schiuso subito non appena sei nato, mi ha fatto capire, a chiare lettere, che io avrò sempre motivo di consolazione grazie alla certezza che non c’è fine a tutto questo” […]”Se non riesci a raggiungere la pace interiore, e a pochi è dato raggiungerla (men che mai a me) nelle tribolazioni, non dimenticare che l’aspirazione a raggiungerla non è inutile, ma un atto concreto. Mi dispiace di doverti parlare così e in modo così incerto. Ma non posso fare niente di più per te, carissimo […]. Se già non lo fai, prendi l’abitudine di pregare. Io prego molto (in latino): il Gloria Patri, il Gloria in excelsis, il Laudate Domino, il Laudate pueri Dominum (a cui sono particolarmente affezionato), uno dei salmi domenicali; e il Magnificat; anche la Litania di Loreto (con la preghiera Sub tuum praesidium). Se nel cuore hai queste preghiere non avrai mai bisogno di altre parole di conforto». [John Ronald Reuel Tolkien da, ‘La Realtà in Trasparenza’, Lettera 64,65: 30 aprile 1944 a Christopher Tolkien] Dall’attenta analisi di questi e altri passi degli scambi epistolari di Tolkien si può chiaramente evincere la radicale e genuina fede che lo accompagna. Quest’analisi cozza profondamente con le ‘accuse’ rivolte a Tolkien da vari ricercatori (parolone per codesti ciarlatani, poi dimostreremo perché) circa la possibile affiliazione di Tolkien alla potente setta filo-satanista Golden Dawn fondata da Alister Crowley, padre del satanismo moderno. Le Prove apportate da questi ‘ricercatori’ circa l’eventuale affiliazione di Tolkien alla Golden Dawn sono a  dir poco ridicole nonché possono essere ampiamente utilizzate per screditare la stessa tesi che vorrebbero sostenere (poi vedremo nello specifico come).

Prima vorrei portare l’importante testimonianza di Thomas Howard, docente universitario di Letteratura Inglese, amico di Lewis e Williams (quest’ultimo veramente affiliato alla Golden Dawn, spiegheremo poi), e critico delle opere tolkieniane: “A un livello superficiale così come a un livello più profondo, siamo autorizzati a parlare de Il Signore degli Anelli come di un “capolavoro cattolico”. Chi ce ne da il diritto è lo stesso Tolkien, che ha detto che non avrebbe mai potuto scrivere la saga se non fosse stato cattolico. Inoltre egli ha individuato, in molti elementi della narrazione, una specifica analogia con categorie cattoliche (in una conversazione con Clyde Kilby disse che riteneva Gandalf un angelo). A un livello più profondo, naturalmente, scopriamo che l’intera struttura della Terra di Mezzo è assolutamente comprensibile per qualsiasi serio cattolico. Per esempio, il bene e il male, così come vengono intesi dalla Chiesa, nella Terra di Mezzo non sono diversi da come noi ne facciamo esperienza. Il male è parassitico, e non ha altra funzione che quella di distruggere la buona solidità e bellezza che caratterizza la creazione. Gollum è un esempio significativo: in origine creatura molto simile agli Hobbit, il male lo ha poi ridotto a un sibilante, ringhioso, inaridito frammento di quello che è un Hobbit. Lo stesso vale per il paesaggio di Mordor: il male ha distrutto tutto ciò che era meraviglioso e fertile, e vi ha lasciato solo cumuli di cenere e fango. Anche la sofferenza subita “in vece di qualcun altro” è di fondamentale importanza nella saga, come lo è per il cattolicesimo: la Compagnia dell’Anello sopporta ciò che sopporta per amore della salvezza del mondo, per così dire. Questo preannuncia ciò che è centrale per la nostra storia, ossia le sofferenze di Nostro Signore, e quelle dei santi, a favore dell’umanità peccatrice. Un avvertimento: Tolkien ha sempre dimostrato un’antipatia verso l’allegoria (riteneva che Narnia di Lewis fosse troppo allegorica), cosicché di fatto c’è il rischio di “battezzare” tutto con eccessivo zelo. Frodo non è Cristo, e nemmeno lo è Aragorn (lo sconosciuto, ma legittimo re che sta per tornare). Galadriel, per quanto pura e amabile possa essere, non è un’allegoria della Madonna. Ma, alla fine, possiamo con l’approvazione di Tolkien parlare della saga come di un capolavoro cattolico. Un post scriptum potrebbe essere l’osservazione che nessun protestante avrebbe plausibilmente potuto scrivere questa saga, poiché essa è profondamente “sacramentale”. Ossia: si raggiunge la salvezza solo attraverso mezzi concreti, fisici (l’Incarnazione, il Golgotha, la Resurrezione e l’Ascensione); e la storia di Tolkien è disseminata di “sacramentali” (il lembas, il viatico degli Elfi, dall’originario lennmbass, “pane da viaggio”; la fiala di luce di Galadriel; il mithril, in elfico è l’argento di Moria, il vero argento; Vathelas, la foglia di re, erba risanatrice così chiamata dagli Elfi).” Dopo questa testimonianza chiarificatrice vorrei portare all’attenzione parte dell’introduzione alla prima edizione del 2000 del ‘Signore degli Anelli’ scritta da Elémire Zolla, il quale in questo passo  mette a confronto la saga di Tolkien con la tradizione della fiaba moderna e contemporanea : “«Una differenza sottile e radicale, come fra la notte e il giorno, discrimina Tolkien, segnatamente da Graves, Williams e Powys: egli non cerca la mediazione tra male e bene, ma soltanto la vittoria sul male. I suoi draghi non sono da assimilare, da sentire in qualche modo fratelli, ma da annientare». In tutti codesti moderni favolisti, «sempre si assiste a una calata negli inferi non per debellarli ma per farsi contagiare, sì da ricevere una diabolica energia. […] In breve, ci si ritrova nell’atmosfera consueta, moderna, erotica, intrisa di confusioni, androgina, che fu inaugurata da Blake, che è stata nella scorsa generazione formulata da Jung. […] Il fascino che sprigiona da Tolkien proviene dal suo completo ripudio di quella tradizione sinistra. La sua fiaba non celebra il consueto signore delle favole moderne, Lucifero, ma celebra San Michele, Beowulf o San Giorgio». Zolla continua poco dopo: “ Anche quei favolisti dalla mano sinistra sanno cosa abbastanza nascoste, conoscono il potere immenso dei puri pensieri, eppure sono inconciliabili con la schiera dei favolisti della Tradizione benigna e luminosa: Tolkien o C.S Lewis. Non è esaltante che pure in tempi dediti al culto del Caos abbiano levato la voce anche questi ultimi, e che la Tradizione da loro cantata abbia avuto anche un altro servitore, dedito a narrare le opere della tenebra, Montague Summers?”

Qui Zolla sintetizza, riassume e cristallizza in pochissime righe l’aspetto radicale e fondamentale della fiaba Tolkeniana: ‘La Vittoria sul Male’. Vittoria mai mediata, mai parziale ma sempre ricercata con il massimo degli strumenti e con il totale delle forze, questa epica ed universale battaglia contro il Male è oltremodo evidente nello sviluppo degli eventi contenuti nei tre romanzi del Signore degli Anelli. Proprio grazie all’interpretazione di Zolla della favolistica tolkeniana come Epica battaglia Anti-luciferina posso ora porre l’accento su ciò che ci è noto circa il rapporto tra Tolkien e uno dei più famosi membri della Golden Dawn, appartenente anch’egli, come Tolkien, agli Inklings (circolo di scrittori inglesi infiltrato dalla Golden Dawn). Mi riferisco a Charles Williams, il quale aveva una strana influenza su Lewis, (amico di vecchia data di Tolkien e anch’egli autore cattolico) che esercitò sempre più pesantemente, dalla fine degli anni Trenta in poi. «Membro devoto della Chiesa d’Inghilterra» scrive White (biografo di Tolkien), «Williams era contemporaneamente affascinato in maniera ossessiva dal misticismo e dall’occulto. Faceva parte di un famoso gruppo iniziatico noto come l’Ordine dell’Aurora dorata (Golden Dawn) di cui era membro il famigerato Aleister Crowley [il fondatore del satanismo moderno], ma la domenica andava in chiesa a pregare». La produzione letteraria di questi membri del gruppo, appartenenti contemporaneamente agli Inklings e alla Golden Dawn, aveva per Tolkien qualcosa di ambiguo. Le loro storie, sulla scia della tradizione favolistica moderna, erano pericolosamente attratte dal fascino dell’esoterico e dell’occulto come ci chiarifica benissimo Zolla nell’Introduzione alla prima edizione italiana, il quale mostra la radicale differenza tra la favolistica di Williams, Powys, Graves che decantano chiaramente Lucifero e la favolistica di Tolkien e Lewis i quali (Lewis in modo più esplicito) decantano principalmente San Michele e San Giorgio.

Ora passiamo a demolire quella che può superficialmente sembrare la principale prova a sostegno della tesi che Tolkien fosse iniziato alla Golden Dawn. Non so se chi sostiene tale tesi sia semplicemente un ingenuo ignorante oppure un mistificatore in malafede, ma resta il fatto che quello che a tale sostenitore può sembrare il principale elemento argomentativo reggente la sua tesi è invece uno dei più chiari ed espliciti esempi lasciatoci da Tolkien per comprendere il ‘verso’ e la ‘direzione’ della sua epica ed universale battaglia. Bene, la ‘sconvolgente’ prova dell’affiliazione di Tolkien secondo questi baldi ricercatori risiederebbe nella raffigurazione, disegnata dallo stesso Tolkien, che nella prima edizione italiana si trova a pg, 383. Questa raffigurazione è situata, nel romanzo tolkeniano, sulla Porta delle Miniere di Moria: l’accusa contesta l’assoluta somiglianza di questa raffigurazione con l’Arco Reale Alchemico appartenente alla Massoneria Iniziatica. Assolutamente verissimo, gli archi sono identici, il richiamo di Tolkien è chiaramente esplicito, forse il più esplicito dell’intera sua Opera. Ma la cosa fondamentale che dobbiamo notare circa la presenza esplicita di questo simbolo massonico è l’utilizzo che ne fa l’autore: è qui che la prova diventa contro-prova, è qui che la balzana argomentazione si auto-trasforma in contro argomentazione.

    

L’Arco Reale Alchemico, tipico della Massoneria, è stato posto da Tolkien proprio all’entrata di quelle Miniere che saranno il vero luogo d’inizio dell’epica battaglia tra Bene (Compagnia dell’Anello) e Male (Sauron) messa in mostra da Tolkien, ‘un posto maledetto’ citando direttamente l’autore. Infatti, all’interno delle Miniere di Moria, (un tempo luogo pacifico dove i nani scavavano avidi la roccia, ma ora conquistato e in balia delle ‘forze oscure’ di Sauron), quindi dopo aver oltrepassato la porta alchemica-massonica, Gandalf, stregone utilizzatore della magia bianca e della preghiera dovrà sconfiggere un’entità mostruosa dalle dimensioni gigantesche e dalle sembianze chiaramente sataniche: Balrog. Nel Silmarillion, unico testo esplicitamente religioso di Tolkien, Balrog, l’entità mostruosa incontrata e sconfitta a Moriah da Gandalf vien descritto come uno degli ‘spiriti di fuoco Caduti nella Tenebra’ perché corrotti da Melkor, il quale è al vera Origine del Male supremo nelle opere Tolkeniane, Melkor è anch’egli descritto come un’entità angelica ‘Caduta’ perché fu la prima a sfidare ed esser sconfitta da Eru, Il Creatore di Ea (Universo Tolkeniano), l’analogia a Lucifero è talmente lampante esplicita e palese che è inutile spiegarla. Balrog dopo esser stato sconfitto trascinerà con sé lo stregone Gandalf negli abissi della terra. L’analogia è chiarissima. L’iniziazione alchemica non lascia scampo neppure ad un guerriero potente e benigno come Gandalf, anch’egli soccombe agli oscuri poteri del Maligno nonostante l’immenso potere spirituale, salvo poi scoprire, con l’evolversi degli eventi, che Gandalf il Grigio ‘resusciterà’ nelle vesti di Gandalf il Bianco. V’è un’ulteriore doverosa precisazione da fare sull’episodio dell’entrata nelle Rovine-Miniere di Moriah per screditare ulteriormente le teorie secondo le quali anche Gandalf (personaggio centrale della Compagnia dell’Anello e della saga Tolkieniana) sarebbe un alto iniziato al Potere oscuro di Sauron perché utilizzatore della magia ‘pagana’ non cara alla dottrina cattolica (!!!).  Nel momento in cui la Compagnia dell’Anello giunge alle tanto temute Mura di Moriah e alla tanto strumentalizzata (dai ricercatori ignoranti o mistificatori) Porta d’entrata Occidentale delle Miniere di Moriah, Gandalf, alto iniziato all’alchimia secondo le balzane teorie, trovandosi di fronte all’Arco Reale Alchemico tanto caro agli alchimisti massoni e malamente strumentalizzato dagli improvvisati ricercatori, non riesce in alcun modo ad  aprire la porta, tenta ogni formula in ogni lingua a lui conosciuta ma nulla, la porta non si apre tanto da farlo spazientire e dissuadere dimostrando di non conoscere (ovviamente in forma di analogia, allegoria con la realtà) i segreti dell’alchimia massonica necessari per ‘aprire’ l’Arco Reale Alchemico; ciò cozza chiaramente con la visione che dipingerebbe Gandalf come alto iniziato ai poteri alchemici tanto cari alla massoneria, visione che si dimostra assolutamente assurda.   Quindi, quella che dagli accusatori vien descritta come la prova centrale per la dimostrazione dell’affiliazione di Tolkien alla Golden Down s’è facilmente trasformata in un‘esplicita prova di come l’autore concepisse l’iniziazione all’immaginario alchemico-massonico vicina, se non coincidente alla figura di satana-lucifero e delle sue schiere demoniache, come moltissimi noti studiosi anti-massoneria sostengono. Potrebbe tornare utile ai baldi ricercatori sapere che Moriah, il nome utilizzato da Tolkien per descrivere il luogo maledetto che diede inizio all’epica battaglia tra Bene e Male, è riconducibile nella Bibbia al monte su cui Salomone e il suo architetto Hiram han costruito il loro primo Tempio, il Monte Moriah per l’appunto, evento che ha dato le basi ai miti fondativi della Massoneria Gnostica Iniziatica. Inoltre, giusto per concludere, potrei ricordare sempre ai nostri baldi ‘ricercatori’ di iniziati che la dicitura ‘Signore degli Anelli’ è riconducibile nella Dottrina Cristiana a Saturno, antichissima divinità  demoniaca venerata dai circoli esoterico-occultisti fino ai giorni nostri (la Golden Dawn si trova ovviamente tra questi) : nella saga Tolkeniana Il Signore degli Anelli è Sauron, anche noto come: Oscuro Signore, Signore di Mordor, Creatore dell’Unico, Ingannatore, Mano Nera, Aborrito, Oscuro Potere, Negromante, Grande Occhio, Nemico e Crudele, egli è il creatore degli anelli prima, e dell’unico anello poi, anello creato per domarli, per trovarli, per ghermirli e nel buio incatenarli.

Bibliografia: – ‘Il Signore degli Anelli’ J.R.R.Tolkien, prima edizione 2000, Bompiani – ‘La vita di J.R.R.Tolkien’ White Michael, Bompianione – ‘La realtà in trasparenza’  Christopher Tolkien, Bompiani – ‘Il Silmarillion, J.R.R.Tolkien, Bompiani, prima edizione 2000 – ‘Intervista a Th. Howard’:  http://www.gliscritti.it/approf/tolkien.htm

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